giovedì 3 maggio 2007

Se il destino è come il lardo

Ci sono donne che decidono il loro destino con una frase, una parola, pronunciata - magari - in una giornata di inizio estate. E' facile immaginare che la Sventurata (quella vera, di manzoniana memoria, l'unico personaggio con un po' di appeal in mezzo a tutti quei fichi lessi del romanzone) avesse risposto una, dieci, cento, mille volte prima del momento fatidico, dello show-down con quel tipaccio poco raccomandabile. La (nostra, modestissima) sventurata rispose invece una volta sola: e fu un giorno davanti a un ristorante appena fuori porta.
Osservando la comune conoscente - discretissima -, incontrata per caso in compagnia di un maschio (che non era il consorte), salutandola con la mano moscia - una sottana lunga che si stendeva un po' in tirare sul fianco troppo largo -, la guardò con un’aria vagamente di sfida. Poi cerchiò con un braccio la vita del maritino e occhieggiò la tipa con uno sguardo fra paura e timidezza. E osò: "Voglio godermi mio marito il più possibile". Sottolineando, con malcelata enfasi, quel “mio marito” con una certa qual aria di possesso. C'era, invero un certo retrogusto di timore. Sì, però di quello viziato. Di quello che pareva dire: "E' mio", ma come se l'avesse comprato. “Chi te lo prende il maritino”, pensò l'altra guardandola un po' dall'alto in basso.
Ma il meccanismo si era messo in moto e gli ingranaggi del destino si stavano ungendo ben bene. Come il lardo che la discretissima aveva appena finito di assaporare sul suo crostino caldo.